La questione della mobilità urbana coinvolge istituzioni e aziende private in egual maniera. La riduzione delle emissioni attraverso la sostituzione delle autovetture più vecchie con moderni mezzi elettrici, attuata attraverso una politica degli incentivi alla rottamazione o all’acquisto di veicoli a zero emissioni, sembra non essere sufficiente per raggiungere gli standard di riduzione di CO2 nell’aria stabiliti a livello europeo. Innanzitutto a livello nazionale servono direttive ministeriali sempre più chiare e stringenti, ma anche incentivanti e il Decreto sulla Mobilità Urbana rappresenta uno degli esempi più completi di intervento. Infatti, occorre da un lato intervenire sulle infrastrutture e sulla domanda di mobilità. Quest’ultima è la via più breve e meno costosa che presenta per di più un incredibile rapporto costi-benefici. La via maestra non è quindi un “ritorno al passato” demonizzando l’uso delle automobili, ovviamente; piuttosto si propone un comune impegno volto alla diffusione di una nuova politica dei trasporti che risponda alla domanda di mobilità, migliorando l’accessibilità ai servizi esistenti e incrementando forme di trasporto alternative.
Il Mobility management rappresenta un approccio concentrato sulla gestione della domanda di mobilità, attraverso misure che puntano su iniziative di persuasione, concessione e restrizione. Il concetto di mobility management si è sviluppato negli anni ’90 negli Stati Uniti, trovando terra fertile anche in alcuni paesi europei come Olanda, Belgio, Inghilterra e Svizzera. In America già in quegli anni erano stati messi in atto i “commuter plans”: quelli che oggi conosciamo come Piani Spostamento Casa-Lavoro, o PSCL. Il mobility management trovava allo stesso tempo larga applicazione nel contesto di aree urbane ottimizzando l’interazione di nuove forme di trasporto pubblico e moderne tecnologie.
L’attività si pone come obiettivo la riduzione del numero di automobili circolanti a favore di mezzi di trasporto alternativi. Questa attività è un ponte tra le pubbliche amministrazione e l’ambiente: entrambe chiamate a fronteggiare il problema della congestione stradale. Un importante passaggio strategico è quello di identificare target precisi ai quali rivolgere formule di persuasione e comunicazione ad hoc orientate verso specifiche soluzioni di mobilità. L’obiettivo comune ad ogni tipo di iniziativa è quello di trasformare le abitudini quotidiane dei cittadini. Ma quali sono i tipi di strategia che in altri settori hanno già dato dei sostanziali risultati in termini di medio termine?
Le strategie di concessione consistono in nuovi servizi da proporre ai cittadini. Questi servizi di mobilità sono caratterizzati da un alto valore aggiunto nell’efficienza degli spostamenti (pensiamo alla micromobilità che copre l’ultimo miglio), ma anche in termini di vantaggio ecologico. In questa categoria rientrano parimenti le iniziative volte a promuovere e migliorare i sistemi attualmente a disposizione, così come l’intermodalità degli spostamenti.
All’interno della categoria delle strategie di restrizione entrano quelle misure, attuate anche già largamente in passato, che hanno a che fare con politiche di park e road pricing; ma fanno parte di questo gruppo anche le ZTL: le zone a traffico limitato. Nel mobility management possiamo inserire anche tutte le iniziative che disincentivano l’utilizzo dell’auto privata con singoli conducenti.
Risulta alquanto evidente come un approccio di questo tipo richieda una metodologia di ampia scala e, per poter avere successo, il coinvolgimento e la cooperazione di tutti i soggetti interessati. Tra questi ultimi compaiono le Pubbliche Amministrazioni, ma anche le compagnie di trasporti, aziende. Identificando bene ognuno il proprio potenziale contributo, le cose potrebbero funzionare decisamente meglio.
In Italia già sul finire degli anni ’90 vennero introdotte due figure professionali: il mobility manager di area e il mobility manager aziendale. Il mobility manager di area è il responsabile indicato dal Comune che coordina l’attività degli interventi di mobilità promossi e attuati nel territorio di competenza. Il mobility manager aziendale deve realizzare il piano di mobilità dei dipendenti dell’azienda presso la quale lavora. I compiti delle due figure sono simili, ma non del tutto sovrapponibili; infatti un territorio e l’azienda sono sistemi ben diversi. Tuttavia fare rete tra mobility manager aziendale e mobility manager di area resta ancora oggi un’asse fondamentale della trasformazione urbana in una smart city.
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